Il linguagguo onirico e poetico della designer e artista. Tra i nuovi progetti, l'area lounge della fiera ambiente di Francoforte e un libro illustrato sulle favole di Esopo.
L’emozione è un’idea a tinte forti, fatta di incantevoli sintonie di forme e di colori. Una suggestione che viene dal profondo, supera definizioni e canoni estetici regalando il piacere di un confronto nuovo, speciale, autentico.
Come i pezzi creati da Elena Salmistraro, celebre product designer e artista italiana operante a Milano, che nelle sue incredibili creazioni ama giocare con il proprio eclettismo sfrenato, ma anche con la gioia e la fantasia di un linguaggio del tutto personale, contaminando il design con il magnetismo dell’arte.
Di progetti ne ha realizzati tanti per prestigiose aziende italiane e internazionali, vedi Disney, Apple, Microsoft, Vitra, Tai Ping, Florim, Alessi, Cappellini, Natuzzi e Bosa, solo per citarne alcune. Ma il suo racconto pare avere ancora tanti capitoli da scrivere, tutti nel segno del bello, fonte inesauribile di quella piacevolezza che vuole essere messaggio di vita, oltre che spensierata compagna quotidiana.
Cosa bolle in pentola? “Sto realizzando l’allestimento dell’area lounge della Fiera Ambiente che si terrà a gennaio a Francoforte – rivela Elena Salmistraro -. Un “lavorone”, che mi sta assorbendo parecchie energie e per il quale mi hanno lasciata totalmente libera. L’idea è quella di un’area di passaggio concepita al contempo come luogo espositivo, ospitando pezzi visibili all’interno della stessa fiera.
Il tema a cui ho pensato è “Serious game”: il mondo del design, a volte, risulta infatti troppo pesante, elitario, distaccato dalle persone, facendo venire meno di conseguenza la componente fondamentale dell’emozione. In realtà, al contrario, anche gli argomenti più importanti e seriosi possono essere trattati col sorriso, proprio come sosteneva Gianni Rodari a proposito dell’insegnamento. Sto quindi progettando un allestimento potente, colorato, vivace, ispirato ad un enorme flipper animato”.
Elena Salmistrato ha in serbo un’altra novità alla quale tiene molto: “Sto illustrando le favole di Esopo in un nuovo libro per bambini, maxiformato, edito da Il Sole24 Ore: adoro disegnare, lavorare con la grafica e ho cercato quindi di restituire ai piccoli lettori la mia versione delle storie”.
Quella del disegno è una passione sbocciata sin da piccola… “Sì! La mia famiglia l’ha capito da subito, tanto che nei pomeriggi dopo la scuola, invece di fare sport, andavo da una pittrice a fare copia dal vero. Inoltre mio nonno, che aveva notato il mio talento, mi portava a visitare mostre e musei in modo che sviluppassi un mio linguaggio personale. E su queste fondamenta ho lavorato. Dopo il Liceo artistico, mi sono laureata in Fashion Design al Politecnico, poi ho capito che non era esattamente il mio percorso e mi sono laureata anche in Industrial Design, sempre al Politecnico. Li chiamo i piccoli errori della mia vita che in realtà mi hanno fatto crescere e formata: oggi infatti riesco a lavorare in tanti campi che inevitabilmente conosco benissimo. E in questa mia grande versatilità sono facilitata appunto dalla capacità di muovermi in diverse discipline, come grafica, disegno e moda”.
La contaminazione fra Design e Arte è evidente nei suoi lavori. C’è un aspetto che reputa prevalente o li considera sullo stesso piano? “Sono affascinata al pari da entrambi i mondi. Quando ero giovanissima, infatti, il mio intento era proprio quello di inserire un pizzico di arte nella produzione in serie. Un lavoro difficile ma molto stimolante…”.
I personaggi che rappresenta nelle sue opere sono frutto del fascino che le hanno trasmesso? “Io faccio tanta ricerca e vengo a confronto con realtà e figure che finiscono col catturarmi. Influisce tanto in realtà anche l’umore del momento e in questo mi sento molto artista: se individuo una direzione, la seguo. Invece il simbolo dell’occhio che spesso riproduco rievoca la figura di mio nonno, come una presenza gentile, rassicurante e protettiva”.
Il colore è indice di un messaggio di grande positività. Possiamo dire che è il tratto comune delle sue creazioni? “Le mie opere rispecchiano il mio modo di essere e quindi il mio desiderio di trasmettere gioia. Nei momenti bui del Covid ho volutamente esagerato coi colori perché la gente aveva bisogno di energia. Il colore è fondamentale: può totalmente appiattire un oggetto come al contrario dargli forza”.
C’è una produzione, fra le tante, che meglio la rappresenta? “Direi le lastre in gres porcellanato della collezione Chimera, disegnata per la Cedit di Florim. Qui ho unito la produzione in serie all’arte applicata. Ne vado particolarmente fiera perché è come un libro a capitoli che contempla i tanti aspetti del mio metodo progettuale: colore, ritmo, giocosità e radici. Tra l’altro ai tempi racchiudeva un’innovazione: la particolare tecnica di stampa a freddo per ricreare gli effetti materici”.
Tra i tanti premi ricevuti in carriera, ce n’è uno che la gratifica più degli altri? “In realtà sono due. Naturalmente il primo, il “Salone del Mobile Design Award” del 2017 come migliore designer emergente. Ero giovanissima e la collezione dei miei primati aveva riscosso particolare successo, tanto da farli diventare nel tempo autentiche icone. È stato meraviglioso, ero emozionatissima, e posso anche dire che mi ha lanciato nel settore. Un altro premio di cui vado molto fiera è l’internazionale Frame Design Award, vinto nel 2023 come Best designer of the year” continua Elena Salmistraro.
Recentemente ha presentato alla Design Week di Parigi la collezione Legami con Tai Ping: “Dopo la presentazione a Milano, improntata su un piano più ludico, per Parigi abbiamo pensato ad un allestimento più museale, elegante. È andata molto bene. I tappeti, tutti taftati a mano, hanno una qualità altissima. Li ho disegnati quando ero incinta e stava scoppiando il Covid: da lì la mia riflessione sull’importanza dei legami che si andavano disgregando fra le persone. Ecco quindi le grandi mani rappresentate nei tappeti che si intrecciano in un mega abbraccio simbolico. Ogni pezzo ha inoltre un nome di dito differente. Insomma, c’è davvero qualcosa di personale in tutto quello che faccio”.
Un progetto che invece è ancora nel cassetto? “Mi piacerebbe dedicarmi a delle maxi sculture, dall’anima più artistica. Mi attira l’idea di cimentarmi su una scala diversa e procedere con la libera ispirazione dell’arte”.
Stefania Vitale
Caporedattrice
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