Il professionista propone e autografa progettazioni inedite e caratteriali nell’attuale panorama architettonico e immobiliare.
Pier Solieri, un architetto che sa parlare di sé e fa parlare di sé. Perché conosce e plasma “le parole” dell’architettura, ma anche quelle dell’arte, della storia e della cultura. Lo intervistiamo per ascoltare la sua voce, per lasciarci affascinare dal racconto della sua vita e per chiedergli perché si ama definire “l’architetto del lago”.
Cominciamo dall’inizio: Pier Solieri come si è avvicinato all’architettura? Se penso alla mia passione, questa nasce in un momento preciso: quando, cioè, guardando una foto di villa Savoye di Le Corbusier, ne rimasi completamente affascinato. Ma la mia attenzione all’arte, alla creatività e alla cultura ha origini anche familiari: mio nonno lavorava il legno, mio padre è stato professore di falegnameria, io avrei voluto essere un uomo di lettere. Poi la svolta, influenzato dalle parole di Le Corbusier che diceva che “L’ingegneria tiene su le strutture mentre l’architettura commuove” e da Orazio che sosteneva che “Il poeta è colui che commuove”, quindi la laurea in architettura a Parigi all’Università di Belleville.
Oggi come considera il suo operato e perché si definisce “l’architetto del lago”? Considerando la mia propensione all’emozione, legata anche a certe correnti pittoriche, come è vero che – citando di nuovo Le Corbusier – “L’artefice delle case è il pittore prestato all’architettura”, posso affermare che innanzitutto l’architettura per me è un gesto artistico. Un gesto che nasce fin dal primo schizzo e che in questi anni ho concretizzato principalmente nei progetti realizzati sulla sponda veronese del Lago di Garda; da qui il mio epiteto. Recandomi sul posto, infatti, per progettare una nuova villa ho un approccio pittorico, come un pittore espressionista.
Mi lascio attraversare dalle mie sensazioni e osservo il luogo circostante, poi seguendo il percorso del sole inizio a concepire la nuova architettura, confrontandomi già in fase embrionale con tecnici e ingegneri per trovare la “mia” luce. Nel caso delle progettazioni sul lago, disegno partendo spesso dalla linea di colmo del tetto perché questa, immaginandomi il riflesso della villa sull’acqua, diventa stranamente la base e il punto di partenza, non il punto finale, delle mie creazioni. Io “vedo” la villa e l’edificio, specchiandosi leggero sul lago, in realtà rifletterà sempre dall’alto in basso o viceversa la sua solidità progettuale e strutturale.
Svelato il mistero del lago, può evidenziare quanto la luce rientra nella firma delle sue progettazioni? Senza dubbio la luce le influenza non solo attraverso i muri di facciata, le pensiline e i solai tutti rigorosamente tagliati a 45°, ma anche nella collocazione delle grandi finestre rastremate che, come una sorta di cannocchiali e caleidoscopi, inseguono e accolgono il diversificarsi della luce all’interno di ogni singola stanza durante la giornata. L’immobile come una sorta di “girasole di pietra”.
Il lago e la luce: una filosofia creativa ben definita e strutturata che potremmo definire “soleriana”. Ma, prima, quali sono state le sue esperienze professionali? Dopo la laurea ho lavorato due anni a Parigi presso lo studio di progettazione urbanistica, TGTFP, da cui ho appreso uno sguardo più ampio sul territorio e sull’ambiente circostante. Poi, per subentrate esigenze familiari, mi sono trasferito a Milano – dove abito tuttora – e per cinque anni ho lavorato presso lo studio architettonico di Antonio Citterio: mi sono appassionato all’interior design milanese e ho fatto scuola sulla realizzazione di micro e macro scale che, come importanti elementi scenografici, sono poi diventate anche queste uno dei miei stilemi artistici. Lavoro in proprio dal 2016 e ora, in particolare, la costruzione di ville è la mia principale occupazione.
La villa dunque come massima espressione del suo processo creativo? Esattamente; la villa mi permette non solo di autografare la facciata, il perimetro e gli interni, lavorando sui pieni e sui vuoti, ma anche di accostarmi alla storia che altri architetti contemporanei hanno segnato in questo settore. Mi riferisco a Carlo Scarpa con villa Ottolenghi, a Angelo Margiarotti con villa Pederzoli, a Vittoriano Viganò con villa Bloc. Ville con cui tra l’altro mi confronto direttamente, appunto con le mie ultime costruzioni affacciate sul lago di Garda.
All’insegna della storia dell’architettura, in futuro dove prevede di apporre il suo nome e il suo estro? Mi piace sperimentare il mio linguaggio. In particolare, in futuro, rafforzerò la neonata collaborazione con l’azienda della signora Russo, che con la recente costruzione di alcune ville sul Benaco mi offre la possibilità di essere la “mia” luce e “l’architetto del lago”.
Seguici su