Reportage urbani nella poetica di una quotidianità contraddistinta da “assenze” simboliche
Maurizio Gabbana è nato nel 1956 a Milano, città dove vive e lavora anche attualmente. Lo andiamo a conoscere in questa intervista.
•Il tuo atteggiamento sembra quello di un artista sempre in ascolto, che sta per cogliere l’essenza profonda del paesaggio. Come un ospite silenzioso in attesa dell’attimo fuggente prima dello scatto…
“Mi piace agire nella solitudine e poi curare l’estetica dei luoghi e delle persone, ma anche dei comportamenti, dei discorsi e delle relazioni, sempre diverse e sempre costruttive. Del resto il mio modo di agire è l’unica arma che possiedo per creare la memoria. Rappresenta l’archivio della mia esistenza, sia come uomo, sia come artista”.
•Dunque il vuoto, inteso come spazio lasciato bianco, non rappresenta mai il nulla in mezzo alla moltitudine di immagini che ogni giorno ci sommergono, dai social e alla televisione. Secondo te solo l’assenza rende il soggetto unico?
“La mia ricerca artistica viaggia costantemente con la fantasia. In questo modo costruisco serie narrative, unendo scatti di “reportage” urbano nel quale l’umanità risulta (non a caso) quasi sempre assente. Oppure opero tramite una ricerca simbolica nella quale la figura risulta, unicamente, pretesto scenico a cui abbinare ciò che in realtà mi interessa mettere in evidenza. Il bianco per me è come una sorta di apertura al dialogo”.
• Come quando torni da un viaggio e porti a casa qualcosa che non avevi visto o previsto. Oppure come quando te ne vai dall’altra parte del mondo e per qualche misteriosa alchimia ti senti arrivato a casa…
“Sì, innegabilmente l’assenza, cioè la mancanza, il più delle volte è solo avvertita, non viene resa concretamente manifesta. Ma non basta: lo choc deve essere totale e per questo toglie, cancella, elimina e seleziona. Per me fare fotografia è uno strumento di immagine che, abbandonando una formulazione tradizionale, entra nel dialettico, se non nel concettuale, col pittorico, in una dimensione metafisica calata nella poetica di tutti i giorni. Il viaggio ti permette di indagare e andare oltre i tuoi confini”.
• L’artista lavora sulle immagini, che risultano un riflesso delle proprie origini, sul passato e ovviamente sul sociale. Spesso guarda gli edifici costruiti in passato come pietre angolari della nostra storia, della nostra memoria. Anche nel tuo caso?
“Lavoro sulle immagini e non solo colgo i lineamenti esteriori per compiacere la storia, ma cerco anche le sfumature che il cuore suggerisce. Mi privo del punto-fuoco, cogliendo quel vuoto-assenza che in quel momento riesco a percepire e lascio spazio all’improvvisazione e ad un possibile incidente di percorso”.
Seguici su