Nell’universo “incantato” di uno studio che ha saputo conquistare la scena internazionale. Il magnetico incontro fra arte e design.
C’è il magico inconscio con cui si muove tipicamente un bambino nelle creazioni firmate Draga&Aurel, mondi incantati fatti di attrazione, connessioni inconsapevoli, forse vere e proprie alchimie.
Congiunzioni astrali, a base di colori, riflessi, combinazioni che fanno volare l’immaginario, a sottolineare un inscindibile legame personale oltre che professionale.
Draga Obradovic, di origini serbe, e Aurel K. Basedow, tedesco, fondano il loro oggi prestigioso studio di Como nel 2007, dando luogo ad un laboratorio multidisciplinare di arte, design da collezione e oggetti d’arredo.
Oggi siamo di fronte ad una realtà in continua crescita, vuoi anche per la forte attitudine alla sperimentazione, che li ha portati a collaborare con gallerie e brand di primissimo livello nel settore.
Ai lettori di DENTROCASA Draga&Aurel si raccontano così…
Vi sentite più artisti o più designer?
A: “Io mi sento più artista, mentre Draga sembrerebbe più una designer ma, aggiungo io, è anche un’artista. Il segreto sta tutto qui: il nostro statement è appunto quello di mettere insieme due universi apparentemente divisi ma in realtà profondamente interconnessi, come accadeva normalmente negli anni ’60”.
Cosa attingete dal mondo design e cosa invece da quello dell’arte?
D: “Del design ci interessa l’aspetto della funzionalità ma anche la possibilità di “ripetere” il prodotto. In fondo, cosa toglie la replicabilità di un oggetto alla sua anima artistica? Sono i critici a doverlo stabilire. E anche figure del calibro di Ettore Sottsass, Enzo Mari, Andrea Branzi sfuggono da ogni rigida classificazione”.
Il bello per Draga&Aurel sta proprio quindi nell’andare oltre ogni definizione, operando in parallelo, “ognuno nel suo”, per poi mettere magicamente in rapporto i due percorsi… A: “I nostri ruoli sono inizialmente ben distinti, ma alla fine le nostre opere risultano sorprendentemente in dialogo: l’atto creativo è separato mentre durante l’installazione io e Draga interagiamo direttamente. Sì perché, partendo dalla semplice idea originaria, il vero lavoro comincia in realtà dopo, nella fase dell’installazione appunto. L’obiettivo è capire come “parlare” al singolo spazio e dargli un’anima con le nostre creazioni concepite all’unisono. Si crea così uno straordinario magnetismo fra di noi, che si traduce in connessioni impensabili fra le nostre opere. E la gente lo percepisce tanto, calandosi in questa nostra forza creativa che si valorizza e potenzia reciprocamente proprio nell’unione”.
Un legame, il vostro, che interessa vita privata e lavoro. Come vi siete incontrati?
D: “È successo circa 35 anni fa, in maniera, per così dire, poco professionale. Poi abbiamo intrapreso strade differenti che abbiamo entrambi abbandonato per motivi altrettanto diversi. Infine, il destino ci ha fatti incontrare… Io prima ero impegnata in uno studio di design per tessuti, mentre Aurel, oltre che pittore, è anche musicista percussionista e perciò ha lavorato tanto nelle scuole”.
A: “Ho dedicato tanti anni ai bambini, che sono stati forse i miei più grandi maestri. Nei miei quadri ricorrono infatti molti contenuti “infantili”, perché l’astrattismo è appunto l’arte dall’inconscio con il quale i bambini muovono i loro primi passi. Ci pensate? In fondo i disegni dei bambini sono tutti belli, loro non sbagliano mai”.
Come avete scelto l’Italia per la vostra attività?
A: “Per me è stata da sempre un’idea romantica e quindi una meta da raggiungere. A 4 anni mi hanno portato a Vernazza, nelle Cinque Terre, un luogo che mi ha letteralmente stregato”.
D: “Io, dopo due anni di Accademia di Pittura a Belgrado, volevo fare esperienza all’estero. Avevo fatto un viaggio a Firenze, Venezia, Roma e ne sono rimasta affascinata, quindi ho scelto l’Italia. Como è stata una casualità, un segno del destino, la città che ci ha fatti incontrare. Pur avendo studiato entrambi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, alla fine ci siamo conosciuti qui. Io ero venuta per sviluppare la formazione sull’arte dei tessuti”.
Come si concilia per voi vita personale e professionale?
A: “In molti si spaventano all’idea che passiamo così tante ore a stretto contatto, ma in realtà molte fasi del nostro lavoro avvengono, come detto, in luoghi distinti. Io faccio il pittore al cento per cento e lei la designer al cento per cento. Poi naturalmente creiamo tanto insieme, giocando con gli spazi e i materiali. Draga rimane comunque la mia musa numero uno”.
D: “Sì, è vero, anche se a volte Aurel mi fa arrabbiare – scherza – io lo stimolo molto artisticamente”.
Draga&Aurel collaborano curiosamente per entrambe le prestigiose gallerie milanesi Rossana Orlandi e Nilufar…
D: “È una situazione un po’ anomala per chi opera nel nostro settore, ma devo dire che il lavoro di curatela da parte delle due gallerie segue percorsi realmente diversi. Ciascuna racconta la nostra opera declinata allo spirito del proprio differente spazio e in linea con la propria filosofia. Nilufar quest’anno ci ha dato l’opportunità di allestire la vetrina di Via Della Spiga, per noi un autentico sogno che si avvera. Il progetto, che abbiamo chiamato “Space Couture”, raccoglie arredi luminosi e abbaglianti, per vibrazioni positive e di grande spensieratezza. Una vera e propria opera onirica. Abbiamo collaborato con Wall&Decò, per la carta da parati, e nell’installazione site specific, impreziosita dalle pennellate di Aurel, ci sono anche le poltrone Sabot, le applique Bon Bon e altri elementi che evocano il senso di leggerezza, direi ludica, distante da una narrazione seriosa. Alla Art Week 2022, sempre per Nilufar, avevamo già presentato la nostra “Candy Box”, una collezione molto colorata, direi divertente, che vede la resina protagonista con le sue diverse sfumature e versata in stampi creati appositamente per i nostri prodotti”.
Come si è sviluppato invece il rapporto con Rossana Orlandi?
D: “La collaborazione è nata innanzitutto prima e già dall’inizio lei è riuscita a valorizzare al meglio il nostro corpo di lavori. La sua intuizione è stata quella di leggere da subito la forza della nostra unione, dando spazio tanto alla collezione Transparency Matters, tanto ad Artworks, tanto a Heritage. Quest’ultima, in particolare, sottolinea la nostra originaria passione per la rivisitazione di mobili e oggetti vintage ai quali vogliamo donare, con diverse tecniche, una rilettura di stampo contemporaneo. Normalmente le gallerie di design non prestano attenzione a questo genere di prodotti, ma Rossana Orlandi ha avuto il pregio di voler esprimere tutto di noi, senza tagliare nulla”.
Presenti alla Galleria Rossana Orlandi per il terzo anno consecutivo, nel 2023 avete realizzato lo straordinario progetto “Color Waterfall”…
A: “Con Rossana Orlandi avevamo iniziato il progetto di resine e cementi sfociati nei tavoli Golia, con le sue differenti varianti: un contrasto visivo forte fra pesantezza e leggerezza, trasparenze e ruvidezza. Per quest’anno abbiamo pensato ad un progetto immersivo di trasparenze e vivacità, che mettesse al centro la luce, ispirandoci alle Lighting Boxes di Bryan Eno. Ci sono i raggi delle lampade Ray, le forme della poltrona Tito, le poltroncine Beba… E poi c’è il tavolo Rainbow, realizzato in soli 2 pezzi, con piano in resina. La composizione, fatta di strisce di colore e geometrie particolari, restituisce sfumature e riflessi ammalianti: effetti ottici di colore e morbidezza”.
A: “Aggiungo che quando io e Draga facciamo installazioni, ci troviamo al cospetto di coincidenze di linee e di colore a volte davvero incredibili, apparentemente create apposta e rivelatrici in realtà di una sintonia pazzesca”.
Quanto la vostra inclinazione al riciclo è legata ai temi della sostenibilità ambientale?
A: “Abbiamo iniziato il nostro percorso vent’anni fa procurandoci solo materiale di recupero. L’abbiamo fatto inconsapevolmente, come una predisposizione naturale. Ci dicevamo: perché fare se si può recuperare? Oggi portiamo avanti lo stesso discorso nella collezione Heritage”.
D: “L’aggettivo sostenibile oggi è davvero abusato. Se noi definissimo il nostro progetto come green, non ci sentiremmo onesti. Ad esempio Rossana Orlandi fa un autentico percorso di sostenibilità: a lei, come ad altre realtà nate con coscienza e sensibilità per questo obiettivo, tanto di cappello!”.
Non rimane che tuffarsi nella suggestione…
Stefania Vitale
Caporedattrice
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