BRANZI SETTEMBRE 17
BRANZI SETTEMBRE 17

SIGNORE E SIGNORI… ANDREA BRANZI

02/09/2017

A confronto con il grande architetto e designer fiorentino

Sopra: ritratto Andrea Branzi, Photo Anna Serena Vitali • Collezione Grandi Legni, 2010, Edizione Design Gallery Milano, Galleria Nilufar, Photo Rui Teixeira.

Dell’estate apprezzo il cielo azzurro, un mojito fresco, la frutta succosa e saporita, la luce del giorno fino a tardi. Penso a questo mentre mi muovo nel traffico di una Milano che nemmeno in estate vedo quieta. Una Milano impietosa con i suoi 38 gradi, una calura insopportabile, un traffico insopportabile. Entro in uno stabile degli anni ’30, ristrutturato, una vecchia fabbrica di materiale elettrico, affascinante come solo chi si porta la storia nel tempo può essere.

L’Architetto Andrea Branzi si presenta e fa gli onori di casa, mi offre un caffè e rapidamente mi fa accomodare nel suo studio. Non dà l’idea di avere troppo tempo da “perdere” in convenevoli… Io forse sono troppo dispersiva a volte, lo ammetto, e al contrario lui è una persona molto concreta. Sarà il bagaglio di esperienze e i molti anni d’insegnamento al Politecnico che gli hanno conferito quel piglio determinato… Mi sono fatta piccola di fronte al grande teorico dell’architettura.

Architetto, lei ha iniziato la sua carriera negli anni ’60, in un periodo storico molto particolare e in una regione che poco si prestava ad essere generosa, la Toscana…

“Dunque, io ed altri studenti prima e neo laureati poi, in quel tempo, ci unimmo creando il gruppo Archizoom che in qualche modo ha cambiato la visione dell’Architettura e che cambiò sicuramente la mentalità della cittadina di provincia che era ai tempi Firenze. Il nostro gruppo, formato, oltre che dal sottoscritto, da Massimo Morozzi, Paolo Deganello e Gilberto Corretti, si muoveva per la prima volta fuori dalla tradizione del razionalismo, del funzionalismo. Era un periodo in cui si occupavano scuole, cose che non hanno poi prodotto nulla. Però c’era una generazione che assisteva al cambiamento e che aveva un potenziale nuovo. Noi come Archizoom, dopo l’alluvione di Firenze facemmo una mostra storica, di cui ancora si parla molto. Si chiamava “Superarchitettura” ed era un manifesto Pop. Consideri che da quel momento in poi, sull’onda del nuovo interesse verso il consumismo, iniziarono a nascere tantissimi altri gruppi, ma noi siamo stati i primi e inventammo un nuovo modello di modernità nel periodo in cui si andava verso la cultura dei consumi. Questo nucleo di nuove avanguardie hanno attratto studenti da ogni parte d’Italia: anche nomi importanti come Alessandro Mendini e Michele De Lucchi, che si possono comunque considerare Post Radical”.

Com’è avvenuto poi il suo passaggio da Firenze a Milano?

“In quel periodo, quasi una volta alla settimana, veniva Ettore Sottsass per seguire la produzione delle sue ceramiche. Si avvicinò al movimento prendendomi in simpatia e s’instaurò quasi un rapporto filiale. Lui era l’unico dei gran di designers ad avere una formazione diversa: era stato negli Stati Uniti, in India, in Giappone… Come le dicevo, prese in simpatia il movimento e decisi di trasferirmi a Milano perché qui c’erano le riviste e i grandi Maestri, Achille Castiglioni, Gae Aulenti, Vico Magistretti, Marco Zanuso, tutta la generazione degli anni ’50, che ci accolse con grande attenzione pur non partecipando al movimento”.

A Milano lei, quindi, iniziò a collaborare con Ettore Sottsass?

“Con Ettore, sul finire degli anni ’70 si parlava di questioni di Politica culturale e si ipotizzava il rinnovamento che poi dette luogo ad Alchymia e successivamente a Memphis… Questo movimento in realtà le industrie inizialmente non lo capirono. Noi teorizzavamo sulla società: dovevamo cominciare a pensare a prodotti che non si proponevano per tutti ma avessero forme e linguaggi capaci di catturare il proprio utente”.

BRANZI  SETTEMBRE 2017

 

Dall’alto in senso orario: Libreria Tree 2010, Ediz. Friedman Benda Gallery NY • Collezione Voliere 2016, Edizione Galleria Luisa Colombari, Photo Emilio Tremolada •  Poltrona Pupa 2016, Ediz. Qeeboo, Photo Studio Branzi • Seduta Animali Domestici, 1985 Prod. Zabro Zanotta, Photo Emilio Tremolada • Seduta Revers 1993, Prod. Cassina Photo Studio Branzi • Bollitore Mama-ò 1990, Ediz. Alessi, Photo Aldo Ballo.

 

Cos’è cambiato oggi rispetto a quegli anni? Che evoluzione c’è stata nel Design?

“Oggi il Design, e questo dev’essere chiaro, ha un ruolo strategico nell’economia globalizzata, nel senso che qualsiasi piccola o grande impresa, per stare sul mercato, deve fronteggiare una concorrenza mondiale, deve sapere che cosa stanno producendo in Cina e non semplicemente ciò che fa il vicino di casa. È un continuo rinnovarsi, rinnovare il catalogo, le offerte commerciali, le strategie di mercato ed il Design fornisce questa energia di innovazione. Valgono i principi fondamentali dell’avanguardia, l’invenzione imprevedibile, per cui la legge dell’industria oggi è non produrre mai ciò che già esiste. Bisogna fare cose innovative senza considerare cosa il mercato chiede, il consumatore deve scegliere liberamente”.

Lei è un Architetto che ha scelto di fare oggetti. Non si sente meno Architetto e più artista?

“No, io ho scelto di fare oggetti perché il mondo è fatto di oggetti! Un teorico, Natan Rogers, sosteneva che la modernità andasse dal cucchiaio alla città, dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo… Senza rendersi conto che la città è un insieme di cucchiai. La cosa che attrae maggiormente sono le piccole cose”.

E l’ispirazione? Dove la trova?

“L’ispirazione c’è… Ognuno ha un potenziale creativo, non tutti seguono questa vocazione ma chi la segue non ha bisogno di essere ispirato: l’idea arriva”.

Salutando mi guardo intorno per l’ultima volta e lo sguardo si sofferma su una frase scritta proprio da Andrea Branzi: “Le cose apparentemente inutili come l’arte, la poesia, la musica, il ricamo, sono le uniche che resistono nella distruzione prodotta dalla storia”.

Me ne vado con questa nuova consapevolezza: le piccole cose sono fondamentali, le piccole cose restano.

 

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cristina giorgi

Cristina Giorgi
Spazio metodo
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