A colloquio con Silvia Mei, artista cagliaritana che attualmente vive a Milano. La sua poetica, il suo stile e il suo profondo legame con la Sardegna.
nell’immagine: Dietro di me, tecnica mista su carta, 21×27,8 cm, 2016. Ridere con Daniela, acrilico e capelli su tela, 50×50 cm, 2018.
Silvia Mei nasce a Cagliari nel 1985. Studia Pittura alle Accademie di Sassari e Brera e nella sua intensa carriera artistica vanta esposizioni in spazi istituzionali e gallerie italiane e straniere (citiamo ad esempio New York, Miami, Toronto, Berlino e Almaty).
Nel 2015 realizza una video performance pittorica per SKY Arte a Milano. Attualmente vive a Milano. Atraverso questa intervista desidero farla conoscere ai lettori di DENTROCASA sotto diversi punti di vista. Non conoscevo ancora Silvia Mei quando ho visto una sua mostra alla Galleria delle Battaglie di Antonio Nenna, a Brescia, nel 2012. In quell’occasione ho acquistato, quasi d’istinto, una sua piccola opera, attratto dalla sua pittura animalesca, del tutto diversa dal mio modo di fare arte.
L’ho poi conosciuta personalmente a distanza di circa due anni, nel 2014, a Lissone, dove ho avuto la conferma del mio “innamoramento” artistico.
Allora, per la verità, nella confusione tipica di ogni inaugurazione, ci siamo potuti parlare davvero poco. Ma in seguito ho avuto modo di approfondire la sua pittura e il suo modo di esprimersi.
“Nei lavori che vediamo ho dipinto di getto. Sono partita pensando a un autoritratto ma poi è venuto fuori che avevo dipinto mia sorella. Uso abiti colorati e strani elementi, come orecchini, corolle, insetti e macchie di colore, pizzi e merletti applicati col fine di arricchire quanto più possibile un ritratto embrionale che non so dove mi porterà e in quale prospettiva emozionale” ha spiegato l’artista.
Le tue opere catturano o, viceversa, respingono chi le guarda. Ti sei mai posta il problema?
“Nelle mie opere ci sono occhi sinceri, piccoli e vicini, naso lungo, colori accesi, segni graffianti a fare capolino dietro allo spessore di colore e materia che si addensa trasformandosi in “maschera”, al punto che ognuno di noi può vi si può identificare, scorgendo magari un lato nascosto che potrebbe essere rivelatore del proprio essere” ha continuato Silvia Mei.
Hai una poetica “femminile” che oscilla tra la dolcezza e la brutalità…
“Cerco di esprimere l’umore e il volto è il mezzo con cui lo faccio. Prima non me ne accorgevo, ma ultimamente sono sempre più consapevole del fatto che di sicuro le mie figure sono nate, inconsciamente, dall’immaginario delle maschere sarde. I riferimenti sono tanti e da quando mi sono trasferita a Milano sento il legame con la Sardegna ancora più forte. La città non ha cambiato il mio modo di essere e le mie origini” ha concluso l’artista.
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di Gianbattista Bonazzoli
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