A Bologna una interessante retrospettiva sull’arte del pittore americano
nell’immagine: Soir bleu
Dare voce alla solitudine. Incanalarla su binari di poesia. Restituirle dignità. Edward Hopper è cantore dell’alienazione, del disincanto. Nella sua opera il soggetto insegue orizzonti di malinconia ma li condisce di una passione che non ha precedenti. La mostra ospitata fino al 24 luglio a Palazzo Fava – Palazzo delle Esposizioni di Bologna presenta 58 capolavori provenienti dal Whitney Museum di New York suddivisi in sei sezioni tematiche e cronologiche, dalla formazione in accademia fino all’ultimo periodo. Hopper ha affascinato il pubblico europeo e americano grazie al suo tratto discreto e al contempo pregno di significato. Pochi segni a scandire un universo di emozioni e pensieri: paesaggi accolti dal vuoto, stanze abitate da donne sole, anonimi frequentatori di bar. Un qualsiasi angolo di mondo può improvvisamente ergersi a protagonista della scena grazie al delicato potere dell’arte. Intorno è il silenzio e regna l’immobilità. Hopper mira dritto all’interiorità dei suoi soggetti, ne scandaglia gli umori e le pieghe dell’anima. E dà rinnovato valore anche al contesto, all’ambientazione: pochi segnali di presenza e l’essenzialità di paesaggi che non vogliono essere dimenticati. Per questo Hopper ha segnato una svolta nella pittura americana fino ad allora troppo condizionata dalle influenze europee. E ne ha messo in luce l’autenticità spola mostra stefania vitale standosi dal mito del sogno americano ma individuando nuove vie di rinascita. Perché anche i soggetti più comuni possono esprimere bellezza, innocenza, desiderio…
Da sottolineare anche la notevole versatilità della sua arte proiettata su diversi generi, come il ritratto, il paesaggio, il nudo e le scene di interni. L’esposizione bolognese è curata da Barbara Haskell, curatrice di dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art, in collaborazione con Luca Beatrice.
Fino al 24 luglio 2016
mostrahopper.it
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di Stefania Vitale
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