Nuovi appunti sparsi dell’autore portoghese tradotti di recente in italiano. Il distacco dalla realtà come salvezza.
Il secondo libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa – Feltrinelli
Fernando Pessoa ama perdersi nei suoi scritti, ma non come verrebbe da supporre per ritrovare se stesso, ma semplicemente per “accompagnare” il suo straniamento dalla realtà. E “Il libro dell’inquietudine”, zibaldone di pensieri sparsi pubblicato in Italia nel 1986 e curato da Antonio Tabucchi e Maria José de Lancastre, ne è una testimonianza pregnante. “Il secondo libro dell’inquietudine”, uscito quest’anno, funge da ideale “continuazione” del precedente del quale ricalca i criteri di costruzione dell’impianto narrativo pur col supporto di una traduzione differente. Pescando dal “baule pieno di gente” di Fernando Pessoa, il curatore Roberto Francavilla porta alla luce nuove taglienti testimonianze dello scrittore portoghese che dal grigiore di una “vita al minimo” trova sempre la sferzata per fugare illusioni e inganni dei sensi. Tra gli incartamenti polverosi di un ufficio commerciale le rivelazioni del disincanto si fanno più evidenti, laceranti, tanto da chiudere prepotentemente ogni spiraglio. Il pensiero ha un potere distruttivo: per questo è meglio distogliersene e non avallarne le istanze. Meglio una costante ritrosia alla riflessione, atteggiamento “perfetto” dell’uomo comune che non calcolando non perde, non ragionando non realizza. Dissociarsi da se stesso è il modo più istintivo per allontanare il brivido delle paure o il sapore amaro delle sconfitte. Figurarsi grandi traguardi è addirittura meglio che fissarne di piccoli, perché un obiettivo già di per sé irraggiungibile non può portare a chissà quale delusione. L’impossibile è pertanto preferibile rispetto all’improbabile. Senza contare che percepire il mistero delle cose significa viverne in se stessi la complessità, senza nemmeno decifrarle fino in fondo.
La felicità, o per meglio dire, la distanza dalla sofferenza, risiede allora nell’immobilità, nell’intransigente opposizione a tutto ciò che è nuovo. Malgrado non tratti argomenti leggeri, “Il secondo libro dell’inquietudine” può essere letto anche in diverse fasi, frammento dopo frammento, rispettando l’intento di un’opera mai ritenuta compiuta dall’autore stesso. Proprio come nel caso del primo libro a caratterizzare anche quest’ultimo scritto è una fermezza di pensiero per molti versi disarmante che, pur alludendo all’idea di commiato dalla realtà, è forte di una singolarità che non può invece che lasciare il segno.
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di Stefania Vitale
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