Nel laboratorio dell’artista bresciano: progetti “storici” e idee per il futuro.
Trasfigurare la realtà fino a lambirne gli estremi instillando interrogativi e seminando sogni. L’arte di Stefano Bombardieri è un abbaglio nello spazio che spiazza e disarma insinuandosi incombente e leggero al tempo stesso.
Come nel suo studio bresciano, dove ti muovi nei contorni di una fantasia straordinariamente intrisa di consapevolezza, fra le figure ormai simbolo del rinoceronte, del lottatore di sumo, di Gaia e la balena… Opere che, riprodotte in diversa scala, hanno ormai girato il mondo, tra mostre e installazioni nelle piazze e anche ben due presenze alla Biennale di Venezia.
Come fardelli di vita carichi di esperienze e sensazioni che scivolano immediati nell’immaginario, solitamente sospesi a un ideale filo di bellezza e di speranza: forze ristoratrici aperte sempre al domani. Stefano Bombardieri, artista di origini bresciane, mastica arte sin dalla prima infanzia.
Un processo naturale, spontaneo, diremmo inevitabile, dato che il padre Remo è stato a sua volta una figura che al mondo dell’arte ha lasciato una grande eredità:
“Mio padre mi ha dato tantissimo, sia a livello umano, per la persona che era, sia per l’amore per l’arte che mi ha trasmesso. Sin da bambino andavo ad accompagnarlo nelle varie gallerie del centro di Brescia: un giro domenicale, come per santelle, a trovare i suoi amici artisti. Di buono c’è che ero un bambino a cui piaceva già questa realtà quindi non facevo certo fatica a interessarmi. A mia volta oggi faccio lo stesso con mio figlio, visto che lo sto portando in giro per mostre, musei e gallerie di tutto il mondo. Ogni volta lo ritraggo di spalle davanti alle opere: tutto questo, nei miei progetti, diventerà un libro fotografico con l’intervento di critici, sociologhi e psicologi. Sarebbe bello pensare ad una generazione di persone migliori, lavorando proprio sui più piccoli”.
L’universo dell’infanzia le interessa tanto…
“Sono molto concentrato sui bambini e su come reagiscono di fronte alle mie opere, che credo siano di natura molto comunicative. E lo vedi subito il bambino che è abituato al contatto con l’arte rispetto a chi la scambia per un semplice gioco”.
Ma torniamo a lei. Come ha capito che l’arte sarebbe diventata la sua strada?
“Fare l’artista non mi è stato imposto ma mi è venuto appunto naturale. Inizialmente mio papà mi ha influenzato anche nei contenuti, nel senso che ci piacevano gli stessi artisti: da Henry Moore ai Futuristi, come Balla o Boccioni, figure quindi molto improntate sul dinamismo”.
Poi si è trovato una strada tutta sua:
“Da un certo punto in poi, per una questione personale che non amo raccontare, ho provato l’esigenza di esprimere altri concetti, sensazioni, superando i richiami ai modelli precedenti. Un ritorno ad un figurativo che però amo definire sempre concettuale, nel senso che utilizzo una figura, anche iperrealista, per esprimere un concetto. L’arte è diventata via via per me una vera e propria medicina, nel senso che serve in primis a me”.
Tutto è nato dal rinoceronte, figura-simbolo che evoca ormai da vent’anni:
“L’idea è nata da una scena del film “E la nave va” di Federico Fellini: quella di un rinoceronte, appunto, catturato, sollevato da una gru e caricato su un transatlantico. Una vera e propria folgorazione per me: un’immagine che ho da subito immortalato con uno schizzo e che ho tirato nuovamente fuori dopo un po’ di anni. Il titolo dell’opera è “Il peso del tempo sospeso”: la metafora è quella della condizione umana, del suo stato d’animo quando si sente sospesa appunto dalla realtà in una situazione innaturale ma grazie alla quale riesce a guardare la propria esistenza dall’alto. Un momento che definirei anche fortunato, seppur magari nel dolore, perché l’uomo riesce a staccarsi da se stesso. Insomma, il rinoceronte così come anche il lottatore di sumo, vuole essere lo specchio di uno stato d’animo temporaneo che, mi sono accorto, accomuna tante persone”.
Come colloca le sue installazioni nei diversi contesti?
“Mi interessa molto mettere in relazione le mie opere con l’ambiente che le accoglie. Ad esempio credo che il rinoceronte sia molto più adatto ad habitat, per così dire, innaturali per la sua figura e quindi soprattutto nei contesti metropolitani”.
Che tecniche usa per le sue opere?
“Per quelle di piccole dimensioni la classica fusione in bronzo a cera persa che mette lo scultore a stretto contatto con la fonderia. Per le opere grandi, invece, materiali sintetici. Le realizzo prima da blocchi di polistirolo che divengono poi modelli sui quali vengono fatti calchi in gomma da cui si può possono ricavare bronzo a cera persa o vetroresina. Ultimamente utilizzo tanto anche il poliuretano che, grazie alle sue proprietà, mi consente di realizzare opere all’apparenza pesantissime ma in realtà molto leggere. Avere a che fare sempre con trasporti eccezionali ha creato in me l’esigenza di ingegnarmi a trovare qualcosa che si comprimesse in casse facilmente spostabili. Adoro sperimentare”.
Come si proietta sul prossimo futuro?
“Come detto, pensando soprattutto alle nuove generazioni, un processo mentale e creativo iniziato già con “Gaia e la balena”, dove Gaia è appunto una delle mie nipotine. Da lì ho acquisito la consapevolezza di quanto siano importanti i bambini, uomini di domani ai quali sarà affidata la responsabilità di questo pianeta. Per questo è bene averne cura. Fra i miei ultimi lavori il soggetto principale è mio figlio che ho scannerizzato qualche anno fa per realizzare opere nelle quali lo pongo sopra un cranio di mammut, o su un teschio umano o su una sfera/mondo. Il tema è: “In equilibrio sul passato”, a rappresentare le generazioni future in bilico su una situazione instabile, quella che abbiamo lasciato loro appunto. Ma in fondo il messaggio è positivo, di grande speranza, perché, ne sono convinto, l’uomo alla fine ce la fa sempre”.
In serbo ci sono anche altri progetti:
“Prossimamente mi piacerebbe rievocare in una mostra ad hoc la figura di mio papà: gli artisti della sua generazione, visti gli scarsi mezzi a disposizione, una volta ritiratisi dall’attività tendono a scomparire e pochi di essi vengono ricordati e storicizzati come meritano. E poi ho in mente un’antologica tutta mia per far scoprire aspetti della mia produzione che sono rimasti in secondo piano” conclude Stefano Bombardieri.
Ig: stefanobombardierisculptor
stefanobombardieri.it
Stefania Vitale
Caporedattrice
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