A colloquio con Massimo Caccia, l’artista milanese che ritrae figure animali in uno stile molto vicino all’illustrazione
Massimo Caccia è nato a Desio (Mi) nel 1970.
Diplomatosi all’Accademia Belle Arti di Brera nel 1993 collabora con il Corriere della sera per l’inserto “La lettura”.
Attraverso questa intervista andremo a scoprire le dinamiche alla base della sua opera.
• I tuoi lavori messi in fila come immagini di una pellicola sembra raccontino una storia nella quale l’uomo è il grande assente ma che risulta comunque fantastica…
“In realtà creo e isolo un momento della storia e lascio che il fruitore, se ne ha voglia, la continui e la completi nel suo immaginario. Per questo motivo tutti i miei dipinti sono “senza titolo” perché non voglio indirizzare lo spettatore ma lasciarlo libero di andare con la testa dove vuole. I frammenti raccontati hanno come protagonisti gli animali che vengono utilizzati di volta in volta come gli attori in una messa in scena. Talvolta interagiscono fra loro, altre volte con oggetti, ma l’essere umano non è mai rappresentato se non attraverso gli oggetti (opera appunto dell’uomo) o le azioni (ad esempio un filo annodato). Questa assenza/presenza umana è molto forte e si percepisce chiaramente in quanto gli animali rappresentati provano sensazioni ed emozioni che sono anche umane”.
• Il tuo è uno stile molto essenziale. Arrivi subito al dunque.
“Per creare le mie storie utilizzo campiture di colore piatte in uno stile molto vicino all’illustrazione; dopo la formazione all’Accademia di Brera e anni a dipingere soggetti realistici con colori a olio, ho sentito l’esigenza di approcciarmi ad uno stile apparentemente più semplice perché volevo che i miei lavori potessero arrivare ad un pubblico di qualsiasi età, dal bambino di 2 anni all’anziano di 100. Naturalmente chi guarda darà una lettura diversa in base alla propria personalità, agli strumenti e all’esperienza acquisiti nel tempo. Il tempo è tra l’altro un altro elemento per me fondamentale, sia dal punto di vista della percezione dello stesso all’interno del dipinto, sia come elemento con il quale giocare e interagire”.
• Picasso diceva che un artista deve fare un’opera al giorno per ritenersi tale e sembra che tu l’abbia seguito alla lettera, ad esempio nella tua ultima mostra, scandendo anche le settimane e i mesi dell’anno.
“Le mie due ultime mostre personali dai temi “Giorni Bestiali” e “Cadenze Animali” partono dall’idea di crearmi delle griglie temporali da seguire. Nel primo caso mi sono “imposto” di realizzare 365 lavori in un anno, quindi uno al giorno per tutto il corso del 2018. Nella mostra “Cadenze Animali”, ospitata a Brescia da Colossi Arte Contemporanea, ho seguito una scaletta che mi ha portato a realizzare 52 lavori su carta (uno a settimana) e 12 lavori su legno (uno al mese). Questi input temporali autoimposti erano necessari per rompere quella che fino ad allora era la modalità del mio processo creativo. Sentivo cioè l’esigenza di uscire dalla mia “comfort zone” ed è stato un ottimo allenamento per la mia mano e soprattutto per la mia testa”.
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di Gianbattista Bonazzoli
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