Un personaggio eclettico, capace di trasformare i materiali in creazioni di grande impatto emotivo.
4 mesi. 24 mail, 10 telefonate, un certo numero di preghiere e finalmente fissiamo l’incontro. Fra i professionisti che ammiro maggiormente, un posto di rilievo è occupato indubbiamente dall’architetto Paola Navone.
Non in quanto donna che si fa strada in un mondo maschile (cliché che tra l’altro nemmeno la sfiora) ma per una delle sue grandi capacità: saper utilizzare materie prime apparentemente povere per creare qualcosa di meraviglioso.
Incontro Paola Navone nel suo studio di Milano per un appuntamento decisamente poco formale: “ore 18.30 per un gin tonic ed una chiacchierata”. Mi saluta come una cara amica facendo gli “onori di casa”. Potete immaginarvi lo stupore nell’accorgermi che si ricorda di me e della nostra prima intervista…
Definirei lo Studio Otto un luna park, con stanze colorate e piene di luci, scenografie che fanno da sfondo ad una carriera costellata di successi a livello internazionale.
• Mi sono sempre chiesta cosa ti legasse al numero otto… Anche un’importante collezione Gervasoni l’hai chiamata Otto…
“Stavo nel sud-est asiatico e l’otto, che si scrive come infinito, è il numero della fortuna: da lì il mio legame”.
• Paola, torniamo un po’ indietro nel tempo e parliamo del Gruppo Alchimia?
“Pensavo che nessuno se ne ricordasse più…” sorride.
• Qualcuno direi proprio di sì, sorrido anch’io… Com’è nata la tua collaborazione con questo gruppo di cui, ricordo, facevano parte Andrea Branzi, Ettore Sottsass jr, Alessandro Mendini…?
“Alessandro Guerriero ha inventato Alchimia mettendo insieme questo gruppo di “sfigati” arrivati a Milano dalla Toscana e che facevano cose nuove e diverse. La mia tesi di laurea è stata su questi personaggi, che concentravano la loro produzione più sugli oggetti di design piuttosto che sull’edilizia. Così mi sono unita a loro: erano gli incredibili anni Ottanta”.
• Tu come ti definiresti: designer, architetto o artista?
“Mi sento qualcuno che fa un lavoro meno sfigato di altri. Mi piace fare tutto, sempre che riesca a mantenere una piccola percentuale di divertimento. Detesto lavorare con i rompic… (ride, ndr). Collaboro con diverse aziende da anni: per alcune ho disegnato anche il singolo prodotto, ma questo non mi riesce bene. Ciò che amo fare è creare una storia e raccontarla attraverso una collezione completa”.
• Per Gervasoni curi la direzione artistica dal 1998 dove si legge la tua forte impronta in tutte le collezioni. Collabori con Poliform, Baxter, Dada, Molteni, Opinion Ciatti, Orizzonti, Cassina e altri… Per Driade hai curato mostre ed installazioni, altre lampade per Antonangeli. Ti ricordi qual è la prima azienda con cui hai iniziato a collaborare?
“Certo che sì! Con la Abet Laminati collaboro dal 1984 ed è stata la mia prima fattura… Per i 60 anni di Abet abbiamo realizzato un’installazione fantastica…”.
• Quali caratteristiche hanno in comune i tuoi lavori?
“Di per sé solo il concetto: qualcosa che rappresenti un savoir faire dell’azienda. I nostri progetti di design sono, se vogliamo, banali. Sono molto semplici, non sono l’oggetto da museo: sono un oggetto che, insieme ad altre cose, crea una scenografia. La gente si trova bene in quell’ambiente…”.
• Ammiro tanto nei tuoi lavori l’utilizzo dei più svariati materiali…
“Sì, io amo scoprire prodotti, materie prime, dar nuova vita ai materiali, anche i più poveri. Questo è un libro (me lo porge, ndr) di progetti realizzati… C’è anche un hotel in Thailandia interamente progettato e arredato con prodotti thailandesi. Ho utilizzato tutte materie prime locali, solo qualche sedia Gervasoni, ma perché costava meno che produrle lì. Ma ogni materiale è del posto. Tasselli in vetro, mattoncini in legno: tutto assemblato sul posto da artigiani locali… Da qui è nato il titolo del libro…”
• Tham ma da: che significa?
“È una parola che si utilizza in Thailandia per definire qualcosa che giudichi semplice, inutile. Mentre lavoravo all’hotel gli artigiani mi vedevano guardare i materiali a cui ero interessata e dicevano Tham ma da, ridendo, considerandoli di poco valore. Poi hanno visto che cosa con quei materiali siamo riusciti a realizzare…”.
• Un progetto a cui ti senti particolarmente legata?
“Quello che devo ancora inventare!”
Paola Navone è un’artista eclettica, un personaggio imprevedibile, uno spirito libero che incarna a pieno le avanguardie artistiche italiane. Ma è anche un’artigiana, un’arredatrice, consulente e tanto altro… Il suo è un mondo fiabesco, fatto di accozzaglie di oggetti a cui nessuno, se non lei, saprebbe dare una giusta collocazione. La capacità più grande, a mio avviso, è proprio quella di creare emozioni. Il suo gusto raffinato, mai esasperato o sfacciato, fa da regista a scenografie che ogni volta si reinventano.
Mi saluta invitandomi all’inaugurazione dell’hotel che sta progettando in Toscana… La saluto guardandola come i bambini guardano il loro personaggio preferito. Con rispetto e ammirazione… Mi sento piccola davanti a lei…
Ci vedremo a Firenze… Non mancherò.
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